CERCHIARA DI CALABRIA

CERCHIARA DI CALABRIA

Il territorio di Cerchiara di Calabria ha visto la presenza umana fin dall’età del ferro, come attestano le numerose asce in bronzo rinvenute nei siti archeologici in località Balze di cristo e Lupparello. In epoca Magno greca sembra che vi fosse edificata l’antica città di Arponium, decaduta in seguito della distruzione di Sybaris.

Secondo gli studiosi l’abitato attuale sorse nell’alto medioevo come rocca Longombarda e deve la denominazione alle grandi mura di difesa che accerchiavano la cittadina, denominata appunto Circlarium.

Nel X secolo il territorio fu sede anche di un importante movimento monastico.

Cerchiara fu città baronale della Calabria Citra con annessi i casali di Plataci e San Lorenzo Bellizzi, e dal 1500 fu Ducato dei Pignatelli che vi restarono fino all’eversione della feudalità avvenuta nel 1806.

Santuario S. Maria delle Armi

Il Santuario di Santa Maria delle Armi (XV-XVI sec.), testimonianza significativa di arte rinascimentale.

Il complesso architettonico, scavato in parte nella roccia, ingloba al suo interno la grotta che custodisce la miracolosa immagine nera della Madonna, conservata in una teca d’argento.

Sorge in un sito già anticamente dedicato al culto, come provano reperti risalenti al X secolo, rinvenuti in grotte rupestri del monte Sellaro.

La sua costruzione – secondo la tradizione locale – cominciò nel 1440 allorché nel medesimo luogo, proprio in una di queste grotte, furono trovate alcune tavolette bizantine, tra le più antiche mai rinvenute, e l’immagine della Beata Vergine delle Armi (dal greco tòn armòn – “della grotta”), da cui il Santuario prende il nome.

Al suo interno custodisce notevoli opere d’arte e argenterie barocche.

Nei pressi del Santuario si trovano i ruderi del monastero di S. Andrea. Di epoca Bizantina, fu edificato intorno al 950. Agli inizi fu retto dal monaco San Pacomio e poi da San Gregorio da Cassano.

Chiesa di S. Pietro

Edificio quattrocentesco, restaurato in età successiva; interno trinavato, di originaria architettura rinascimentale; nave sinistra con volta sorretta da arcate a schema particolare (quattro archi a sesto romanico, arco mediano a sesto ogivale); altare marmoreo, decorato a tarsie.

L’attuale campanile ricostruito nel 1920 sorge nello stesso punto del vecchio costruito nel 1766 e crollato nel novembre del 1908

Dipinti su tela:
La Circoncisione di N.S. molte figure intorno al vecchio Simeone e alla Vergine che assiste, con una gloria di angioli, al rito.

Scuola napoletana del sec. XVIII.

Madonna con Bambino avente ai piedi in adorazione S. Marco e S. Matteo. Buona conservazione. Maniera del fine secolo XVIII.

Madonna del Rosario con intorno i Misteri, in ricca cornice lignea dorata. Tanto i dipinti che la cornice sono di arte provinciale del barocco. La cattura di S. Pietro e Paolo: composizione scenografica, colorito e maniera della pittura napoletana, seconda metà del settecento. In un angolo della tela è il ritratto del donatore di questa pala d’altare, mons. Francesco Maria dei duchi Pignatelli, cardinale nel 1794. il dipinto,collegato all’altare maggiore è in una ricca cornice lignea proveniente da altra cappella. Bene conservato. Scuola napoletana del XVIII.

Paramenti Sacri di manifattura settecentesca napoletana in buono stato di conservazione. Argenterie: ostensorio di argento, a due pezzi, con figura di Angiolo come sostegno della raggiera

La piana di Cerchiara

Gli ultimi signori feudali di Cerchiara sono stati i Pignatelli che, per aver trovato inabitabile il castello, costruirono, nel 1600, una nuova dimora in località piana di Cerchiara, alla sinistra del Torrente Caldanello. Per la imponenza della costruzione e le super strutture signorili, venne chiamato fin da allora, Palazzo della Piana.

La costruzione quadrilatera con un ampio cortile al centro è stata affiancata alla torre costruita da mastro Angelo Capoccia nel 1547, come attesta una sua iscrizione, allorché Carlo V aveva dato disposizione di difendere le coste calabresi, contro i turchi con torri di avvistamento e di difesa.

Attorno al palazzo si costruirono il mulino, il frantoio ed il forno, dove la gente poteva recarsi a chiedere, alle condizioni del tempo il servizio di molitura del grano e delle olive o quello della cottura del pane. Per evitare l’impiego di molta manodopera il Marchese utilizzo l’acqua della caldana, poiché generalmente i contadini macinavano con mole di piccole dimensioni, girate a braccia o fatte girare da un animale, e così creò a suo favore una continua fonte di guadagno ed una maggiore e più estesa dipendenza.

A questi servizi di origine feudale i Pignantelli fecero seguire una delle prime industrie agricole della Calabria, quella della liquirizia, e la collegarono con quella di Corigliano, di proprietà della famiglia feudale Saluzzi, con cui erano entrati in parentela.

Il prodotto era tra i migliori sulla piazza di Londra, poiché il foglio commerciale di Londra, “Morning Cronich” lo qualificava “eccellente per la purezza ed il colorito”.

Con questa industria le cui strutture murarie ancora esistono con il caratteristico fumaiolo che svetta tra gli ulivi spento e solitario, si era creata una buona fonte di guadagno per la famiglia Pignatelli.

Quando entro la ferrovia statale jonica per Torre Cerchiara, allora fu costruita anche una mini-ferrovia, dal Palazzo allo Scalo, struttura in un binario ridotto e un carrello tirato da cavallo.

Il suo conducente “il carrellaro” e, oltre al servizio di merci, occasionalmente faceva anche quello di passeggeri.

Nell’ultimo secolo, vicino al Palazzo è stato costruita anche la chiesetta privata dei Pignatelli che dal 1957 è divenuta parrocchia indipendente e, nel 1878 è stata completamente restaurata ed ingrandita.

Nel 1925 il Palazzo con tutti i suoi possedimenti, passo al Barone Compagna da Corigliano che si affretto a sistema sul portone il suo stemma gentilizio raffigurante il leone rampante.

Grotta delle ninfe

Di grande importanza sono anche le sorgenti della Grotta delle Ninfe, le cui acque sulfuree alimentano l’omonimo complesso termale.

Nella suggestiva grotta, le cui pareti di roccia calcarea si aprono, in alcuni punti, verso il cielo, si è creata una piscina di acqua calda (30 °C), già nota agli antichi Sibariti.

Qui si formano fanghi dalle proprietà terapeutiche. Secondo l’antica leggenda, la Grotta delle Ninfe Lusiadi era l’antro nascosto che custodiva il talamo della mitica Calipso.

Cerchiara Città del Pane​

Selezionato dallo Slow food all’ultimo salone del gusto di Torino, il Pane di Cerchiara di Calabria si sta affermando fuori dalla regione per il suo sapore intenso di pane cotto nel forno tradizionale e per la fragranza che emana quando è appena sfornato.

Il Pane di Cerchiara si fregia del marchio del Parco Nazionale del Pollino che l’ha adottato come prodotto tipico dell’area montana ed è entrato tra quelli da proteggere. La particolarità del pane è costituita dalla forma, una bella pagnotta con la gobba, da 2,5 o 3 kg., che si mantiene morbido e saporito fino a 15 giorni dall’uscita dal forno.

La grossa forma ed il lento raffreddamento del forno conferiscono alla pasta la giusta cottura e le fanno mantenere tutto il profumo e gli aromi degli ingredienti: farina bianca per il 60% e per il restante 40% crusca, lievito madre e acqua di sorgente costituiscono l’impasto, che si lascia lievitare per un paio d’ore.

Dopo aver riscaldato il forno con legna di quercia e faggio fino a raggiungere i 300° utili per la cottura, si svuota il forno dalla brace, si pulisce il pavimento del forno con lo “scopolo” (asta con stracci bagnati) dopo di che le mani abili della fornaia lavorano la pasta velocemente per infornare i palloni bianchi.

Terminata l’operazione si chiude la bocca del forno e durante le quattro ore di cottura, i mattoni, che prima erano stati arroventati, restituiscono lentamente il colore alle forme del pane che lo rendono dorato fuori e cotto dentro.

Da mettere in risalto che i titolari delle 7 aziende panificatrici sono tutte donne e rappresentano una importante realtà di “piccola azienda familiare”.

Intorno al pane è sorto un piccolo interesse industriale che, è il caso di dire, dà “da mangiare” ad una cinquantina di persone che si sono inventate un posto di lavoro, valorizzando e monetizzando la tradizione popolare.

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